Copenaghen: un atomo di teatro

Recensione prima classificata per l’analisi dello spettacolo “Copenaghen” per la regia di Mauro Avogadro. La vincitrice è Agata Violo, della classe IIIA del liceo classico, che vince due biglietti per lo spettacolo “Ragazzi di vita” di febbraio al TST.

Tre protagonisti. Una sola domanda. Un palcoscenico che si espone nudo come le responsabilità della scienza di fronte ai limiti della morale umana. A quasi vent’anni dal suo primo debutto, tre grandi interpreti riportano in vita, sotto la regia di M.Avogadro, “Copenaghen”, opera del commediografo britannico M.Frayn.

Un dramma storico–scientifico che si articola in un duello verbale, quasi filosofico, tra fisica ed etica, su due opposti fronti bellici accomunati dall’angosciante incombere dell’arma atomica. In un’atmosfera impalpabile gli attori vorticano lungo i disegni circolari del palco, nucleo di un istante congelato in un lontano passato: sono il fisico tedesco Heisenberg (M.Popolizio), il suo maestro Bohr (U.Orsini) e sua moglie Margrethe (G.Lojodice). Fra ricordi, aneddoti a tratti divertenti, rimandi ad avvenimenti reali e teorie matematiche, emergono vividi idee, sentimenti, intenzioni che guidano a infiniti spunti di riflessione chi si concede la libertà di un pizzico di immaginazione. In una sorta di limbo surreale, infatti, gravitano i tre protagonisti ormai morti, che cercano di ricostruire ciò di cui fu testimone Copenaghen (da qui il titolo) nell’inverno del 1941, quando il tedesco Heisenberg e l’ebreo Bohr, in una Danimarca occupata dai nazisti, si resero artefici di una conversazione sui cui scopi e motivazioni ancora si dibatte, ma che in ogni caso segnò la fine dei loro rapporti. Un’indagine scientifica, dunque, tra presente e passato, in memorie confuse per i personaggi stessi. Tutto ruota attorno al fatidico incontro, che viene rievocato ben tre volte, sempre con una diversa interpretazione. Un fitto intreccio di interrogativi impossibili da risolvere, sommersi da ambiguità, dubbi estenuanti che trascendono ogni confine personale o matematico; negoziazione di valori umani universali tra politica, scienza ed etica.

Lo stesso ruolo di mediazione è svolto da Margrethe, “ponte” narrativo e scenico tra i due fisici e gli spettatori: col pretesto della sua ignoranza il regista rende comprensibili a tutti argomenti altrimenti troppo complessi, in un’opera che già richiede una notevole concentrazione da parte del pubblico. L’attenzione, a rischio in una scenografia essenziale (gli unici elementi mobili sono le sedie e i personaggi), è però mantenuta viva da efficaci accorgimenti: in un’aula di fisica tinteggiata a freddi neri e grigi, così come anche i costumi, risaltano il bianco fluorescente di formule matematiche e i volti cinerei dei protagonisti. Ci si aspetterebbe un effetto dispersivo per l’ampiezza degli spazi vuoti e l’esiguo numero di attori, ma alla fine a emergere sono le parole, capaci di coinvolgere e stravolgere nel profondo. Forse un Heisenberg a tratti un po’ forzato, ai limiti della pedanteria, ma in generale gli artisti sono convincenti, riescono a farci sentire i personaggi vicini e umani in tutte le loro sfaccettature psicologiche e rendono attuali i dilemmi morali che essi si trovano ad affrontare.

Agata Violo 3^ALC 03/01/2019